La lista dell'Ocse, una volta tanto, non aveva solo un carattere conoscitivo. Le linee guida del '98 contro le pratiche fiscali dannose prevedono infatti l'obbligo alla rimozione dei benefici ottenibili nei paradisi fiscali entro, al più tardi, il 31 dicembre 2005, pena sanzioni. Entro il 28 febbraio 2002 (scadenza poi prorogata alla metà di aprile) i paesi considerati tax heavens potevano inviare "Lettere di impegno anticipato" (Advance commitment letters), cioè lettere di intenti per superare le pratiche fiscali dannose, che sono considerate impegni ufficiali ed evitano, se gli impegni sono mantenuti, le sanzioni punitive previste dal 2006.
Tra il 1999 e l'aprile 2002, trentaquattro dei 41 paesi hanno inviato Advance commitment letters. Restano quindi a rischio di sanzioni sette paradisi fiscali, che per vari motivi non hanno ritenuto di aderire alla richiesta Ocse: Andorra, Isole Marshall, Liberia, Liechtenstein, Nauru, Principato di Monaco e Vanuatu. La lista italiana dei paesi a fiscalità privilegiata, rinnovata con decreto del ministro dell'Economia nel novembre scorso, è più ampia in realtà di quella dell'Ocse. Comprende infatti 50 paesi a pieno titolo e altri 19 per aspetti parziali. La normativa nazionale, però, si concentra soprattutto sui problemi dell'elusione fiscale; solo dalla Finanziaria 2000 è stata introdotta la diretta imputazione in capo alla società controllante dei redditi conseguiti da una controllata localizzata in un paradiso fiscale - il cosiddetto sistema delle controlled foreign companies, cui l'Italia è arrivata per ultima in Occidente.