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    Si deve precisare subito come negli ultimi anni sia risultato evidente che strumento privilegiato nel favorire l'elusione fiscale internazionale non sono solo quei Paesi classificati come "paradisi fiscali" che, anzi, proprio in quanto espressamente individuati come tali, incontrano crescenti difficoltà nell'assumere un ruolo realmente attivo nelle transazioni internazionali. Oggi, infatti, è assai diffuso il ricorso a tutti quei Paesi a regime tributario normale che nascondono all'interno della propria legislazione, regimi fiscali speciali atti, il più delle volte, unicamente ad attrarre nuovi investitori stranieri.


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    Si è appena detto che la principale risposta a questa nuova tendenza internazionale, l'UE l'ha data con il pacchetto Monti, e un aiuto in tal senso è stato dato dall'OCSE. In particolare, il già citato gruppo Primarolo, ha appena concluso due anni di lavori rendendo noti i risultati del proprio operato destinato ad individuare le agevolazioni che possano risultare fiscalmente "distorsive". Una lista molto ampia ma per nulla esaustiva, che affianca quella OCSE, il cui contenuto risulta decisamente poco chiaro, e desta, esattamente come quella OCSE, parecchie perplessità.


    Questa lista infatti si limita ad elencare una serie di figure giuridiche non accettabili all'interno della UE, ma senza pensare alcuna manovra atta a smantellare le medesime strutture nel modo più indolore possibile per i suddetti Paesi. Inoltre nell'ambito della lista predisposta dal gruppo Primarolo sono presenti delle evidenti anomalie: l'Olanda, ad esempio, oltre ad essere presente con ben nove regimi agevolativi, vede considerate elusive quasi tutte le società holding, uno degli assi portanti del proprio sistema economico.

    D'altra parte sorprende l'assenza da questo elenco delle SOPARFI lussemburghesi (non inserite nemmeno nella lista dell'OCSE) che, pur avendo caratteristiche sostanzialmente analoghe a quelle delle holding olandesi, non sono state considerate quale uno strumento atto a distorcere la concorrenza fiscale fra gli Stati.

    Alcuni problemi riguardano anche l'Italia. Nella lista Primarolo, analogamente a quella OCSE, risulta infatti ricompreso il centro "offshore" di Trieste, una scelta che desta perplessità considerato che si tratta di una realtà di importanza praticamente nulla nel panorama fiscale europeo. Infatti a quasi dieci anni dal varo, il centro non è ancora attivo e comunque anche qualora dovesse effettivamente diventare operativo, i rigorosi limiti posti dalla Commissione Europea sia alle attività che questo può svolgere che gli altrettanto importanti vincoli quantitativi alle operazioni effettivamente intermediabili ne limiterebbero sostanzialmente l'attività.

    Le motivazioni di questa ed altre scelte sono evidentemente difficilmente comprensibili e solo una precisazione da parte dello stesso gruppo Primarolo potrà chiarirne definitivamente le ragioni.

    Ma le "stranezze", se così si possono definire, di questa lista continuano, e una in particolare risulta, ai fini della presente trattazione, particolarmente interessante; ci si riferisce all'Irlanda.

    L'Irlanda è infatti considerata, in entrambi i documenti, una sorta di "paradiso" solamente a causa di alcuni suoi particolari regimi impositivi che prevedono una aliquota al 10% per determinate attività manifatturiere e finanziarie svolte in precise aree presso Dublino, quale ad esempio la zona circostante l'aeroporto di Shannon. Se da un lato è innegabile che tali regimi fiscali fossero pregiudizievoli e fiscalmente distorsivi, non si è però tenuto conto del fatto che questo tipo di agevolazione fiscale è oramai prossima alla scadenza, sostituita da una ben più "pericolosa" (ma legittima) aliquota del 12,5% su tutti i redditi prodotti dalle società residenti (la stessa mancanza si riscontra anche nella lista stilata dall'OCSE). Aliquota questa che sta creando una vera bufera all'interno dell'Unione (come si vedrà meglio nei capitoli due e tre della presente trattazione).

    Considerazioni conclusive.

    Quanto detto deve far riflettere e preoccupare, specialmente perché è emblematico per capire quanta confusione vi sia ancora in questa materia all'interno dell'UE.

    Risulta evidente dunque come la tanto voluta armonizzazione dei sistemi tributari sia ancora un miraggio, quantomeno nel contesto di una UE che a tutt'oggi non sembra neppure essere in grado di garantire al suo interno una concorrenza fiscale corretta e pienamente accettabile.

    Ciò che è emerso infatti dall'analisi dei due principali documenti atti ad intervenire in tal senso, non è sicuramente incoraggiante, ed anzi delinea una condotta comportamentale degli organi di controllo piuttosto ambigua e lacunosa.

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