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omissioni fiscali e esterovestizione

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  • omissioni fiscali e esterovestizione

    Visti gli ultimi quesiti sul tema da parte degli utenti, segnalo il seguente precedente giurisprudenziale.
    Secondo la Cassazione penale (sentenza del 18 aprile 2014 n. 17299), l'obbligo di presentazione della dichiarazione annuale dei redditi da parte di società avente residenza fiscale all'estero, la cui omissione integra il reato previsto dall'art. 5 del D.Lgs. 10 marzo 2000, n. 74, sussiste se detta società abbia stabile organizzazione in Italia, il che si verifica quando si svolgano in territorio nazionale la gestione amministrativa, le decisioni strategiche, industriali e finanziarie, nonché la programmazione di tutti gli atti necessari affinché sia raggiunto il fine sociale, non rilevando il luogo di adempimento degli obblighi contrattuali e dell'espletamento dei servizi.
    La vicenda Si tratta di una interessante vicenda che consente di apprezzare il funzionamento della disciplina tributaria nei confronti di società aventi residenza fiscale all’estero e, nel contempo, di focalizzare il proprium dei poteri del tribunale del riesame in materia di misure cautelari reali. Nella specie, si procedeva a carico dei legali rappresentanti di una società avente sede legale all’estero, assumendosi che questa, pur avendo sede legale all’estero, svolgeva l’attività principale in Italia, dove quindi avrebbe dovuto presentare la dichiarazione dei redditi. L’omessa presentazione di tale dichiarazione aveva portato il pubblico ministero a contestare il reato di cui all’articolo 5 del decreto legislativo n. 74 del 2000 ed a chiedere al Gip nei confronti del patrimonio degli amministratori il sequestro preventivo per equivalente del “profitto”, evidentemente pari all’ammontare delle imposte che si assumevano evase. La decisione del Tribunale A fronte del rigetto da parte del Gip, il pubblico ministero adiva il Tribunale della libertà, il quale, pur riconoscendo la fondatezza in diritto della prospettazione accusatoria, non accoglieva il sequestro ritenendo carente la dimostrazione dell’ammontare delle imposte evase e, in generale, del quantum del profitto assoggettabile alla misura. Nello specifico, infatti, il Tribunale aveva apprezzato che l’attività principale svolta dalla società (nella specie, a quanto emerge, sia come agente che come grossista), veniva svolta in Italia, mentre all’estero, dove si trovava la sede legale, veniva svolta una attività secondaria di natura amministrativa: verifica della consegna della merce, effettuazione dei pagamenti, emissione delle fatture, ecc. Per l’effetto, la società era tenuta alla presentazione annuale dei reati in Italia, per cui era configurabile a carico degli amministratori il fumus del reato di cui all’articolo 5 del decreto legislativo n. 74 del 2000. Sul punto, il Tribunale richiamava ed applicava il disposto dell’articolo 73 del D.P.R. 22 dicembre 1986 n. 917 (TUIR: Testo unico delle imposte sui redditi), in forza del quale sono soggette alle imposte sul reddito delle società quelle che per la maggior parte del periodo di imposta hanno la sede legale o la sede dell'amministrazione o l'oggetto principale nel territorio dello Stato, dovendosi intendere per oggetto principale l'attività essenziale per realizzare direttamente gli scopi primari indicati dalla legge, dall'atto costitutivo o dallo statuto [in termini, cfr. Cassazione, Sezione III, 21 febbraio 2013, Mazzeschi; Sezione III, 24 gennaio 2012, Barretta; Sezione III, 26 maggio 2010, PM in proc. Castagnara, secondo le quali, quindi, l'obbligo di presentazione della dichiarazione annuale dei redditi da parte di società avente residenza fiscale all'estero, la cui omissione integra il reato previsto dall'articolo 5 del decreto legislativo n. 74 del 2000, sussiste se l'impresa abbia stabile organizzazione in Italia, il che si verifica quando si svolgano nel territorio nazionale la gestione amministrativa, le decisioni strategiche, industriali e finanziarie, nonché la programmazione di tutti gli atti necessari affinché sia raggiunto il fine sociale, non rilevando il luogo di adempimento degli obblighi contrattuali e dell'espletamento dei servizi]. Ciò detto, il Tribunale non riteneva, però, potesse farsi luogo al sequestro per equivalente [ex articolo 1, comma 143, della legge 24 dicembre 2007 n. 244], perché, da un lato, non risultava accertato adeguatamente l’ammontare delle imposte evase, per non essersi tenuto conto delle spese di gestione, e, dall’altro, non si era tenuto conto dell’importo dei tributi versati all’estero, detraibili in base al divieto della doppia imposizione. La Cassazione La Corte accogliendo il ricorso del pubblico ministero ha ritenuto carente ed elusiva la motivazione sotto il profilo della sostenuta carenza di prova sul quantum del profitto, ed erronea quella basata sull’affermata necessità di detrazione dei tributi versati all’estero. Sotto il primo profilo, la Cassazione ha giustificato la decisione ricostruendo il ruolo del giudice della cautela reale. La verifica del tribunale, in proposito, non deve certamente tradursi nel sindacato sulla concreta fondatezza dell'accusa, non essendo richiesto il presupposto della gravità indiziaria, ma non può certo limitarsi alla sola astratta configurabilità del reato: il tribunale, infatti, per non ridurre il controllo giurisdizionale ad una funzione di tipo meramente cartolare e formale, nel valutare il presupposto del fumus commissi delicti, deve tener conto, in modo puntuale e coerente, delle concrete risultanze processuali e dell’effettiva situazione emergente dagli elementi forniti dalle parti. e dimostrare, nella motivazione del suo provvedimento, la congruenza dell'ipotesi di reato prospettata rispetto ai fatti cui si riferisce la misura del sequestro condotta al suo esame (cfr., per utili spunti, Cassazione, Sezioni unite, 20 novembre 1996, Bassi ed altri; Sezione VI, 5 ottobre 2012, Filoni; Sezione IV, 30 novembre 2011, PM in proc. Sereni ed altri). Ciò che nello specifico il Tribunale avrebbe dovuto fare considerando - e apprezzandone la rilevanza- gli esiti delle indagini della Guardia di finanza e la documentazione sui “costi” [ulteriori] prodotta dalla difesa, senza limitarsi quindi un apprezzamento meramente burocratico . Sotto l’altro profilo, quello della detrazione delle imposte versate all’estero, la Corte ha rilevato un errore giuridico, determinato dall’erronea interpretazione dell’articolo 165 del TUIR. E’ infatti vero che, a norma del comma 1 dell’articolo 165, alla formazione del reddito complessivo concorrono i redditi prodotti all'estero, ma le imposte ivi pagate a titolo definitivo su tali redditi sono ammesse in detrazione dall'imposta netta dovuta fino alla concorrenza della quota d'imposta corrispondente al rapporto tra i redditi prodotti all'estero ed il reddito complessivo al netto delle perdite di precedenti periodi d'imposta ammesse in diminuzione. Peraltro, ai sensi del comma 8 dello stesso articolo 165, tale detrazione non “spetta “ in caso di omessa presentazione della dichiarazione o di omessa indicazione dei redditi prodotti all’estero nella dichiarazione presentata. Situazione apprezzata come sussistente proprio dallo stesso Tribunale, cui quindi la Cassazione ha rinviato gli atti per un rinnovato giudizio sulla misura cautelare.
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